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mercoledì 26 marzo 2025

Ortica

  • Titolo: Ortica
  • Titolo originale: Nettle
  • Autrice: Bex Hogan
  • Traduttrice: Chiara Beltrami
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9791223200520
  • Casa editrice: Giunti
Trama 


In un regno fatato, una ragazza sfiderà creature potenti per salvare chi ama. Ortica non è una ragazza come le altre; da piccola è stata trovata in un cespuglio di ortiche, alle cui punture sembra immune. La donna che l'ha cresciuta e amata, e che lei chiama nonna, ora è malata. Per salvarla, Ortica si dichiara pronta a fare «qualsiasi cosa», incluso chiedere aiuto al capriccioso re delle fate, Locryn, che si dichiara disposto ad aiutarla se lei riuscirà a portare a termine tre incarichi apparentemente impossibili. È un'impresa che porterà Ortica a incontrare nuovi amici, un vero amore e grandi pericoli, perché là dove regna la magia nulla è come sembra.

Recensione e commento



Può accadere che il genere di libri a cui Ortica appartiene sfoci nel trito e nel prevedibile in modo scontato invece che rassicurante. Non mi sento di dire questo del romanzo in questione, perché per quanto il punto di arrivo della trama fosse abbastanza comprensibile fin dall’inizio, Ortica riesce in molte cose dove molti altri sbagliano.

Prima di tutto il numero di pagine: può sembrare una cosa di poco conto, ma in realtà il ridotto numero di pagine indica che la storia non è stata tirata per le lunge dove non ce n’era bisogno. Infatti, in questa fiaba moderna ci vengono presentati gli elementi della trama in modo stringato senza che vi sia mai il bisogno di dilungarsi in spiegazioni. Questo modo di sintetizzare senza banalizzare viene adoperato anche nelle dinamiche, che si inanellano una nell’altra in modo molto fluido e riescono a raccontare anche lassi di tempo relativamente lunghi in poche righe. Il tutto, messo assieme, riesce nell’intento di non annoiare mai e si ottiene una storia misurata che non fa mai il passo più lungo della gamba: Ortica fa esattamente quello che promette, senza cercare di essere di più, infilando tematiche che rischia di non trattare adeguatamente, come invece succede spesso a libri dello stesso tipo.

La solidità del romanzo è evidente anche nella costruzione dei personaggi, specialmente in quella della protagonista che, una volta tanto, è davvero sveglia e capace. Ortica chiede sì aiuto a un cast di altri personaggi ma mette sempre assieme da sola gli indizi senza che le vengano forniti. E a questo proposito, la quest è una delle più credibili che abbia mai letto, perché è fatta di lunghi tentativi infruttuosi prima che venga trovata una quadra e, come sappiamo sin dai tempi del Mago di Oz, lei aveva già con sé tutto ciò che le serviva.

È interessante vedere come alcuni degli elementi delle fiabe classiche siano presenti ma rivisitati. Ortica, infatti, ha il compito di creare un indumento fatto con la pianta di cui porta il nome, ma a differenza della fiaba dei cigni selvatici, lei non viene ferita dalle ortiche, anzi, è immune alle loro punture. Anche la protagonista stessa, che dapprima cerca una soluzione per salvare una vita che non è la sua, deve trovare un equilibrio per aiutare il prossimo senza sacrificarsi, trovando la propria strada senza annullarsi mai per nessuno. E in effetti, il finale stesso è misurato quanto il resto della storia, perché si tratta di una crescita per certi versi dolorosa, ma mai fatta di rinunce: l’accettazione di sé può essere un processo crudele, ma il risultato regalerà la serenità. 

Ortica è un libro coccola che è arrivato per me in un momento perfetto. Non è una storia grandiosa che racconta di imprese epiche in modo teatrale, ma un racconto molto individuale e personale. È un commovente ritorno a casa e un delicato romanzo sulla crescita e sullo spiegare le proprie ali ed è stata proprio la sua morigeratezza a emozionarmi. Se desiderate immergervi in una storia fatata dal ritmo incalzante che non faccia scivoloni e che vi accompagni in un periodo di sovraccarico mentale, la gentilezza di Ortica potrebbe fare al caso vostro.

mercoledì 12 febbraio 2025

The raven cycle

  • Titolo: The Raven Cycle - La serie
  • Titolo originale: Raven Boys/The Dream Thieves/Blue Lily, Lily Blue/ The Raven King
  • Autrice: Maggie Stiefvater
  • Traduzione di: M.T. Locatelli 
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788804771081
  • Casa editrice: Mondadori
Trama


Agli studenti della Aglionby Academy, conosciuti come Ragazzi Corvo, non manca nulla: soldi, bellezza, macchine costose. Gansey, però, è in cerca di qualcosa di più: Owen Glendower, un antico re gallese che, secondo le leggende, giace addormentato sotto una montagna. Nella sua ricerca è affiancato da Adam, che frequenta la scuola con una borsa di studio ed è pieno di risentimento verso l'ambiente privilegiato che lo circonda; da Ronan, un'anima selvaggia divisa tra rabbia e disperazione; e da Noah, tanto attento a cogliere i dettagli quanto taciturno. Blue appartiene a una famiglia di veggenti, ma finora non ha mostrato di avere alcun dono; non crede di poter vedere gli spiriti delle persone destinate a morire, eppure, la notte della vigilia di San Marco, le appare quello di Gansey. Quando lo incontrerà in carne e ossa, ne resterà inspiegabilmente affascinata, e la sua vita finirà per intrecciarsi con il sinistro e strano mondo dei Ragazzi Corvo. Curato da Alessia Merlo e Rossella Pinto, il volume comprende i romanzi The Raven Boys, The Dream Thieves, Blue Lily, Lily Blue, The Raven King e i quattro racconti extra Opal, Opal. A Minor Raven Boys Holiday Drabble, A Very Declan Christmas, 300 Fox Way Holiday Piece.

Recensione e commento

Se avessi letto questa serie al momento della sua uscita, e non una decina di anni dopo, l’avrei sicuramente amata. Infatti, credo fermamente che la mia mancanza di attaccamento emotivo sia dovuta al fatto che sono spaventosamente fuori target.

Ciò non toglie che Raven Boys sia una serie con moltissimi pregi e che rappresenta una ventata d’aria fresca in un panorama di libri young adult che sembrano ormai tutti usciti da una catena di montaggio. Incredibile che per avere qualcosa di nuovo si debba ricorrere a libri scritti un decennio fa, ma il bello di un romanzo è che può aspettare sullo scaffale per sempre e coglierti al momento perfetto. Infatti, superato il primo terzo del libro, la storia procede in modo sorprendente, soprattutto per chi ormai ha fatto il callo alle eroine belle bellissime che non sanno di esserlo e che sono tenute in ostaggio dai propri ormoni. Qui non ci sono ragazzi e ragazze di una bellezza disarmante ma, fondi fiduciari illimitati a parte, degli adolescenti credibili con molti altri interessi che non riguardino l’accoppiarsi. Secondo me proprio qui arriva il primo colpo da maestra dell’autrice, che ci fa credere proprio dall’incipit che ci sarà una storia d’amore molto centrale e invece non sarà così, dato che saranno i personaggi a trainare la lettura, perché non c’è un unico vero protagonista, ma cinque ragazzi e ragazze ugualmente caratterizzati, con i propri problemi, paure e ambizioni. Ed è per questo, probabilmente, che il primo terzo del libro rappresenta uno scoglio: ci sono cinque psicologie da delineare, cinque vite da spiegare per bene, per cui l’azione non inizia per un bel pezzo. Eppure, una volta che si entra davvero negli eventi, si perdona facilmente la lentezza iniziale perché funzionale a costruire i colpi di scena che si susseguiranno.

Neanche a dirlo, la mia preferenza personale va a Blue, una protagonista che ha da sola più personalità di tutte le eroine ya contemporanee. L’ho subito apprezzata per la sua convinzione e i suoi principi incrollabili, oltre che per il suo non essere stereotipata nemmeno a livello estetico. A livello puramente personale, i personaggi maschili mi sono piaciuti un po’ meno, ma a loro credito va detto che sono ragazzini realistici, non palestrati superdotati con l’aspetto di trentenni consumati dalla vita.

Raven Boys è una serie adattissima a chi cerca uno young adult pulito e un po’ vecchio stile. È una serie leggera ma non frivola e scalda il cuore grazie ai suoi personaggi che sembrano uscire dalle pagine talmente sono vividi. Il mio unico rimpianto è di non averla letta prima.

mercoledì 18 settembre 2024

Gifts - I Doni

  • Titolo: Gifts - I Doni
  • Titolo originale: Gifts
  • Autrice: Ursula Le Guin
  • Traduttore: Stefano Andrea Cresti
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788804786689
  • Casa editrice: Mondadori
Trama

Nelle aspre e selvagge Altelande, vivono uomini che possiedono un dono. È tramandato attraverso le generazioni, per via ereditaria, fin da quando se ne ha memoria. Sono doni meravigliosi, che permettono di evocare animali e mutare paesaggi... Ma sono anche terribili, perché possono ottenebrare le menti o infliggere malattie. Orrec appartiene alla famiglia dei Caspromant, tanto famosa quanto temuta per il dono del disfacimento: un potere distruttivo, in grado di annientare qualsiasi cosa o persona, con la sola imposizione dello sguardo. All'età di tredici anni, però, il giovane ancora stenta a manifestarlo. Finché un giorno, all'improvviso, Orrec devasta un'intera collina senza volerlo, e prende l'amara decisione di bendarsi per sempre, per il timore di causare danni a ciò che ama di più, come la dolce Gry, compagna d'infanzia e forse sua futura sposa, anche lei dotata di un potente e magnifico dono. Ribellandosi ai loro destini, i due giovani affronteranno insieme le sfide della vita, per andare alla ricerca di loro stessi e del loro posto nel mondo.

Recensione e commento

Precisamente, io che parole posso usare per parlarvi di un libro di Ursula K. Le Guin? Gifts - I Doni è un libro magistrale e per quanto io possa tentare di recensiverlo (cosa che sto per fare) inevitabilmente lo appiattirò e banalizzerò tutto quello che dice perché non sono degna. 

Nei romanzi di quest’autrice c’è sempre una capacità di leggermi dentro che mi spiazza ed è, come al solito, il libro capitato al momento giusto. Inizialmente mi sono domandata come mai fosse stato inserito nella sezione ragazzi e non in quella per adulti, vista la complessità dei temi, l’approfondimento e la prosa altisonante e fuori dal tempo, ma man mano che andavo avanti il motivo mi appariva sempre più chiaro: Gifts - I Doni è un romanzo sulla complessità dell’adolescenza, quello strano momento di cambiamento tra l’infanzia e l’età adulta. E non è soltanto una storia che prende per mano chi la legge proprio durante questo periodo, è anche una guida per i genitori che possono trovarsi spiazzati e non sapere come gestire questo momento di crisi.

La cecità di Orrec è autoinflitta affinché non possa usare il suo dono, che consiste nel “disfare”, nel distruggere in maniera incontrollata quello che guarda. Nel suo potere io ho visto (voi potreste vederci qualcosa di diverso) il timore adolescenziale di fare del male alle persone amate e allo stesso soffrire per la sofferenza che si causa senza comunque poter fare a meno di infliggerla. È un momento particolare dove un attimo prima viene trattato come un uomo adulto e quello dopo come un bambino, cosa che lo spiazza perché capisce di aspirare a essere una delle due cose, ma per quanto si sforzi non è ancora pronto e sente ancora il bisogno di essere protetto e amato come durante l’infanzia. 

A chi si trova nell’adolescenza, periodo bellissimo solo quando ci si pensa in retrospettiva, Le Guin dice “passerà, non ti preoccupare, questa solitudine non è permanente”. Ai genitori, invece, parla di altri doni: all’inizio pensiamo che “i doni” siano soltanto i poteri magici tramandati per linea ereditaria, ma andando avanti ci rendiamo conto che non sono solo quelli. Sono anche gli strumenti di crescita che vengono forniti al protagonista per interpretare il mondo, è la conoscenza che gli viene tramandata da sua madre, sono le storie che lo fanno sentire meno solo e gli fanno capire di avere altre abilità, meno distruttive, per le quali non serve che si autopunisca. A chi sta crescendo un* adolescente questo libro dice “educa, fornisci gli strumenti giusti e abbi fiducia in quello che stai insegnando, ma non ti aspettare che la persona che arriverà alla fine del percorso sia quella che vuoi tu o quella che ti aspettavi”.

Le Guin non ci racconta di cattivi genitori, ci racconta di genitori normali che come tali fanno errori comprensibili, che proiettano le proprie aspettative sui figli e sulle figlie, che pensano di sapere cosa sia meglio per loro. Non sempre è sbagliato pensarla così, ma va anche tenuto in considerazione che il mondo non è mai sempre uguale a sé stesso e non esiste nessuna strada prestabilita, niente è scritto sulla pietra e non è sempre necessario accettare le eredità - i doni - che ci vengono offerti.

Questo è indubbiamente uno dei libri migliori del 2024, e probabilmente uno dei migliori della mia vita (anche se potrei dire la stessa cosa di tutti i libri da cinque stelle di quest’anno, il livello è veramente alto). Potrei parlare anche del worldbuilding, del sistema magico, ma a che servirebbe? Stiamo parlando di un mostro sacro che ha una scrittura di livello così alto che la tecnica ci mette totalmente al servizio della storia che racconta e anche quando si vede l’uso di qualche figura particolare, essa è totalmente impalpabile e completamente assorbita dalla trama. Se cercate una lettura di qualità che trascenda genere e target, I Doni è una scelta sicura. 

lunedì 22 luglio 2024

Krithi K.

  • Titolo: Krithi K.
  • Autrice: Silvia Benedetta Piccoli
  • Lingua originale: italiano
  • Codice ISBN: 9788855421317
  • Casa editrice: Delrai
Trama


Durante una notte di tempesta, Alba scompare. Anche se ha l'aspetto di un'angelica ragazzina, cela un segreto; un segreto di cui nemmeno la sua famiglia è al corrente. Lei è diversa, lo sente dall'odore. Tra improbabili detective in giro per la Francia, scienziati di dubbia moralità, scoperte incredibili, in una lotta tra il bene e il male nel nome della scienza, c’è una sola risposta da trovare: E se la presunta ragione degli esseri umani conducesse a vie più terrificanti dell'istinto? Età di lettura: da 10 anni.

Recensione e commento

Krithi K. è un romanzo che ho letto un po’ per caso, ma che comunque è stato una gradevole sorpresa. Quando Delrai mi ha offerto la copia digitale per questa collaborazione ho subito pensato che facesse al caso mio sia per gli argomenti trattati, sia perché mi consentiva di andare avanti nel mio progetto di leggere più penne italiane.

Ma andiamo con ordine, comincio col dire che la parte che ho preferito di questo fantascientifico è quella iniziale perché è quella che mi ha suscitato il maggior numero di riflessioni. Nel primo terzo del libro ci troviamo in Francia, in un laboratorio in cui vengono svolti esperimenti da un’équipe di cui fa parte anche Krithi, una scienziata emigrata dall’India che ha quindi una visione del mondo molto diversa rispetto a quella in cui si trova immersa in Europa. In particolare, si pone molti dubbi sul trattamento degli animali nella scienza, sul concetto di specismo e sul modo corretto di fare le cose. Krithi è stata a mani basse la protagonista che ho preferito perché ho davvero sentito le sue emozioni, l’ho trovata estremamente ben caratterizzata e credibile nel suo sentirsi spaesata. È una scienziata che per quanto possa avere grande fiducia nei protocolli, spesso si farebbe trascinare dall’emotività perché fatica a tenere distinte la sua coscienza individuale dall’analisi critica distaccata. È la protagonista che si pone i problemi in materia di gerarchia delle specie sul nostro pianeta e che non capisce perché tutto ciò che è considerato “altro” da noi umani possa essere considerato inferiore. Non essendo lei occidentale, il suo sguardo è utile per mostrarci come la scienza non sia né neutra né priva di condizionamenti sociali e come moltissimi altri ambienti in cui esistono gerarchie è dominata dal pensiero bianco.

Loro sono Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna,
premio Nobel per la chimica del 2020 per aver
sviluppato la tecnica di editing genetico CRISPR
Diverso è il discorso per la parte finale, che mi ha convinta meno. Le conclusioni che vengono tratte sono spesso troppo pseudoscientifiche. Chiariamoci, trovo accettabile, e anzi giustissimo, che si usi la letteratura per mandare un messaggio, qualsiasi esso sia, ma mi fa sempre storcere il naso quando vedo la scienza piegata per giustificare delle convinzioni personali, per quanto legittime. Volendo stare sul generico, non ho apprezzato molto la presenza di uno scienziato pazzo che agisce in modo abbastanza indipendente e che vuole modificare il DNA di varie creature per dei motivi un po’ nebulosi. Tutta la parte della modificazione del genoma mi è sembrata troppo tirata per i capelli e un po’ disinformata. Non intendo dire questo in modo offensivo, solo che mi è riuscito difficile mantenere la sospensione di incredulità quando si trattava l’argomento perché mi lasciava perplessa vedere quanto rispetto al mondo contemporaneo certe conclusioni fossero arretrate: spesso la fantascienza serve perché l’immaginazione anticipi il mondo reale, ma in questo caso il mondo reale è già molto più avanti rispetto a quello narrativo. Senza voler entrare troppo sul tecnico, dato che comprendo che la finzione non debba essere scientificamente accurata al cento percento, proprio perché la narrativa non è saggistica e l’inventiva deve avere il suo giusto spazio, qui l’impressione era quella di voler affermare contemporaneamente due concetti che si contraddicono a vicenda. Bellissimo il messaggio antispecista, l’interrogarsi sulla presunta neutralità della scienza, ma è contraddittorio poi demonizzare il progresso che consente nella pratica l’antispecismo. Se il batterio dell’escherichia coli non fosse stato modificato geneticamente affinché producesse insulina identica a quella umana, dovremmo ancora estrarla dal pancreas degli animali, con tutto ciò che questa pratica comporterebbe. E se il meno indispensabile acido ialuronico non venisse sintetizzato in laboratorio, allora dovremmo ancora estrarlo dalle creste di gallo. Per moltissime specie il progresso nelle biotecnologie ha significato salvezza da morte atroce (detto questo, lungi da me affermare che gli ambienti accademico e farmaceutico siano degli Eden senza peccato, ma a ciascuno il suo). Il messaggio di fondo che non si debba giocare a fare Dio mi è parso stridente semplicemente perché è dalla notte dei tempi che l’umanità modifica il mondo intorno a sé e ogni singola cosa che esiste ed è possibile che esista nell’universo è naturale, inclusa la nostra capacità di influenzare il mondo che ci circonda.

A parte questo, che è l’aspetto che ho trovato dissonante, ho trovato significativa il punto di vista di Mira, una bambina che considera Alba sua sorella, incondizionatamente dal fatto che sia adottata, abbia i canini retrattili e gli istinti di una tigre. Per me è stato il modo più efficace di fare passare il messaggio, perché attraverso gli occhi di una persona giovane e ancora priva di sovrastrutture dovute alle convenzioni sociali è molto più semplice trovare i punti in comune invece delle differenze che ci dividono. La semplicità del suo amore per la sorella, la linearità con cui pensa a lei alla fine è il vero cuore del messaggio.

In conclusione, Krithi K. ha l’enorme pregio di essere un romanzo che si presta al dibattito. Si vede che è un libro che è andato in stampa solo dopo tantissimo lavoro: la prosa cesellata e lo stile raffinato fanno capire benissimo che non si tratta di un libro andato in stampa senza un editing attento e una costante limatura da parte dell’autrice. 

Fonti



mercoledì 17 aprile 2024

A cosa servono le Persone?

  • Titolo: A cosa servono le Persone?
  • Titolo originale: Leeva at Last
  • Autrice: Sara Pennypacker
  • Illustratore: Matthew Cordell
  • Traduttore: Paolo Maria Bonora
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788817183581
  • Casa editrice: Rizzoli
Trama

A cosa servono le persone? Questa è la domanda a cui Mira Comanda Fiordispina è decisa a dare una risposta. «A diventare famosi» dice sua madre, la sindaca di Strambore. «A fare soldi» sostiene suo padre, il tesoriere della città. Ma Mira, che ha nove o dieci anni (non lo sa esattamente), non ci crede. Quando attraversa di nascosto la siepe di cinta del suo giardino e finalmente esce nel mondo esterno, scopre che non è proprio come dicono i genitori. Con l'aiuto di due bibliotecari, un cucciolo di tasso e un bambino in tuta protettiva, va in cerca di una risposta, provocando una catena di eventi che cambierà Strambore per sempre. Una storia tenera e molto divertente sull'amicizia e il potere delle storie, che ricorda Roald Dahl. Con manciate di biscotti fragranti e libri a volontà. Età di lettura: da 10 anni.

Recensione e commento

Se siete con me da un po’, sapere che Sara Pennypacker per me è una garanzia. Di suo ho letto i due romanzi dedicati a Pax e Qui, nel Mondo reale. Tutte le opere che ho citato si contraddistinguono per una struggente malinconia e un sudatissimo lieto fine.

In questo senso, A cosa servono le Persone? si distacca un po’ perché tratta sempre di temi molto delicati in modo pedagogicamente ineccepibile, ma questa volta il tono è più scanzonato, più cautamente ottimista e divertente. Lo stile di fondo mi ha ricordato quello del romanzo Matilda e in un certo senso anche Mira (Leeva in originale) assomiglia alla protagonista di Dahl. Si tratta, infatti, di una ragazzina trascurata dai genitori che guardano a lei solo in un’ottica utilitaristica, nella speranza che la loro figlia possa portare loro soldi o fama. Deve lavorare in casa tutto il giorno, non le è consentito uscire e non può andare a scuola, per quanto lo desideri. Ma per fortuna Mira trasgredisce e riesce a ricavarsi degli posti sicuri in cui crescere ed essere sé stessa all’insaputa dei genitori.

I suoi luoghi sicuri sono gli spazzi condivisi dalla comunità, come la biblioteca, il parco o il teatro e tutte le avventure della piccola protagonista sono funzionali a insegnare alla giovane mente che legge che non c’è grandezza nell’avere tutto per sé: la ricchezza è fatta per essere condivisa affinché chiunque possa stare bene. L’egoismo non porta lontano e nemmeno vivere le altre persone come mezzi per arrivare a un fine. In modo più semplice e diretto, con un lessico e una struttura adatti all’età a cui si rivolge, Pennypacker riassume il concetto kantiano che le persone sono già di per sé un fine, non devono fare nulla per meritarsi di esistere. Ciò è utile anche per ammonire i genitori, qualora leggessero questa storia assieme alle figlie o ai figli, spiegando che non è importante possedere più denaro o perseguire la vanità se non ci si occupa delle persone davvero importanti nella propria vita, ma anche che non le si può soffocare tenendole sotto una campana di vetro per paura che possa succedere qualcosa: le cose terribili possono capitare, ma anche quelle bellissime e non si può vivere in funzione del calcolo delle probabilità di tutto ciò che può andare storto. 

E sempre con delicatezza, con tatto, l’autrice insegna anche a chiedere aiuto nelle situazioni di abuso, come riconoscerle e dare ascolto alla voce interiore che ci dice che qualcosa non va, che c’è qualcosa di profondamente sbagliato quando chi ci sta intorno ci mente e ci tiene in gabbia e che, piano piano, bisogna trovare il coraggio di aprirsi con le persone giuste, in grado di accettarci, che ci aiuteranno a uscire da quel contesto terribile.

A livello di trama, poi, non ho trovato nulla che non andasse: ogni elemento è gestito con maestria e viene inserito solo ciò che a un certo punto sarà funzionale agli eventi raccontati. Non c’è superfluo, tutto quello che viene detto serve a qualcosa e non ho trovato buchi. Per me è davvero interessante questa caratteristica, perché mi capita spesso di riscontrarla nei romanzi per un pubblico tanto giovane (mi era successo anche con La Bottiglia dei Desideri, in cui tutto tornava e la verosimiglianza è stata tenuta fino alla fine), perché spesso nei libri per adulti o giovani adulti questo viene meno.

Non vi stupirete di sapere che consiglio A cosa servono le Persone? a chiunque. È una lettura adorabile, importante e divertente al tempo stesso. Il curriculum di Sara Pennypacker è impeccabile e non si smentisce nemmeno questa volta. Un romanzo adatto a genitori e prole.

mercoledì 27 marzo 2024

Damsel

  • Titolo: Damsel
  • Titolo originale: Damsel
  • Autrice: Evelyn Skye
  • Traduttrice: Valentina Zaffagnini
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 988817182195
  • Casa editrice: Rizzoli 
Trama

Elodie non ha mai desiderato un palazzo sfarzoso o un principe affascinante. Cresciuta nel reame di Inophe, tra carestie e difficoltà, il suo più profondo desiderio è di aiutare il suo popolo a sopravvivere agli inverni. Quindi quando un delegato di un regno ricco e misteriosamente chiuso al resto del mondo arriva con un’offerta di ricchezze sufficienti a salvare Inophe in cambio del suo matrimonio, accetta senza alcuna esitazione. Nello scintillio della sua nuova casa, Aurea, Elodie è rapita dalla bellezza del reame – e da quella del suo promesso sposo, il principe Henry. Ma non appena hanno inizio i rituali per diventare principessa, il dubbio che non tutto sia perfetto come sembra s’insinua nella sua mente, e le prime crepe sull’apparentemente perfetta superficie cominciano a mostrarsi: una giovane donna scompare dalla torre del castello improvvisamente. Una parata di fiaccole si fa strada attraverso le montagne. Compaiono segni lasciati da una misteriosa “V”. Troppo tardi, Elodie scopre che la prosperità di Aurea è stata acquistata a un costo altissimo: ogni stagione del raccolto, il regno sacrifica le sue principesse a un drago affamato. E Elodie è la prossima. Ma le centinaia di donne che nei secoli hanno preceduto Elodie, non sono morte senza combattere. Il loro sangue pulsa di potere e memoria e la loro esperienza è la chiave per la sopravvivenza di Elodie. Costretta a combattere per la vita, questa damigella dovrà usare la sua intelligenza per sconfiggere un drago, scoprire il passato di Aurea e salvare non solo se stessa, ma anche il futuro del suo nuovo regno. Età di lettura da: 10 anni.

Recensione e commento

Allora, vi dico subito i difetti, così ci togliamo il pensiero e andiamo immediatamente a tutte le caratteristiche che mi hanno fatta scoppiare di entusiasmo per questo libro, non ci vorrà molto.

Il primo che mi viene in mente è qualcosa che vi dico principalmente per coerenza, perché lo dico sempre di ogni romanzo che fa la stessa cosa, ovvero che i capitoli sono narrati sempre con la focalizzazione interna di un personaggio e la protagonista, Elodie, ne copre il 90%, mentre di tanto in tanto spunta fuori un nuovo pov quando alla voce narrante serve dare qualche informazione che sfugge alla conoscenza della protagonista. Su questo punto torniamo dopo e vi spiego perché, per quanto oggettivamente io ve lo debba dire, questa volte mi ha dato molto meno fastidio di altre.

Il secondo e ultimo è che di tanto in tanto il mondo primario si intrufola nel worldbuilding facendo incrinare leggermente la sospensione dell’incredulità. Abbiamo modi di dire che fanno riferimento a un monoteismo verosimilmente assimilabile al cristianesimo e a quanto pare in questo mondo fantastico inventato si studia il latino. Basta. Difetti finiti, ora vi dico tuuuuutto quello che mi è piaciuto, preparate qualcosa da bere, perché questa parte, invece, è più ampia.

Cominciamo dall’inizio: la struttura del romanzo esula moltissimo da quella dei libri per lo stesso target di questo periodo. Infatti, mi sono accorta solo il giorno dopo aver concluso la lettura e averci dormito sopra che in Damsel non c’è romance. Non c’è per niente, anzi, si apre con un matrimonio che però è combinato e avrà conseguenze disastrose. È proprio da qui che è scaturito il mio interesse, perché quando la storia comincia apparentemente va tutto bene, queste nozze sembrano essere la soluzione a tutti i problemi della protagonista, una ragazza nobile solo formalmente perché regna su un territorio poco fertile in cui anche lei deve faticare ogni giorno per sopravvivere assieme al suo popolo. Il matrimonio con il principe Henry le porterebbe una ricchezza tale da poter facilitare la vita della sua gente e risolvere molti dei problemi del suo regno e non sarebbe esclusivamente un’unione di convenienza, dato che lui le piace, sembra l’uomo dei suoi sogni ed è gentile e galante. Apparentemente tutto va bene ed è questo il punto: sta andando tutto talmente bene che a un certo punto deve esserci la fregatura. La sensazione a questo punto è simile a quando si guarda un horror in cui tutti sorridono felici e contenti, ma la consapevolezza di stare guardando uno splatter fa aumentare l’angoscia perché si sa che da un momento all’altro tutto degenererà. 

Infatti, Elodie è un po’ come una moderna Teseo, dato che a sua insaputa la sua vita dovrebbe essere sacrificata a quella di un drago che vive dentro un labirinto nel cuore della montagna e che consente al regno di Aurea di prosperare. Elodie è tantissimi archetipi classici in una volta sola e contemporaneamente non è nessuno: è la dimostrazione che nelle rappresentazioni del passato non è tutto da buttare, ma c’è anche tantissimo da aggiornare e attualizzare, ma quei modelli sono un innegabile punto di partenza. Elodie è Teseo nel labirinto, è Arianna che sa come uscirne, è Raperonzolo intrappolata nella torre, è la Sirenetta che deve immolarsi per il bene altrui ed è Biancaneve che parla con gli animali, ma di questi personaggi classici e immortali, iconici al punto da essere diventati stereotipi, lei ha solo delle piccole parti che messe tutte assieme la rendono unica e le consentono di compiere un viaggio interiore molto diverso da tutti gli altri archi di formazione. È qui il cuore della storia, quello di cui mi sono innamorata e che mi ha fatto piangere: non ci sono principi che verranno a salvarla e nemmeno sarà lei a salvarsi da sola. Tirarla fuori da lì sarà uno sforzo comune, suo indubbiamente, ma anche di sua sorella, di una ragazzina con la quale è stata gentile, della sua matrigna che, sì, è un po’ emotivamente stitica, ma ama lei e sua sorella come se le avesse partorite personalmente e si discosta anche lei dall’archetipo della matrigna fiabesca che riduce a serva la figliastra. Nonostante io non sia né madre né matrigna, il suo è stato il personaggio per il quale ho provato più empatia e anche se in proporzione compare pochissimo, è riuscita nell’impresa di farmi versare qualche lacrima. La strada per l’emancipazione di Elodie, sia dal labirinto che nella sua vita, passa partendo dai tasselli che hanno già messo le altre prima di lei, le donne sacrificate al drago che le hanno lasciato indizi su come sopravvivere, su come sia costruito il labirinto e quali siano le zone sicure. La sopravvivenza di Elodie è possibile grazie al sangue innocente delle sue sorelle versato prima di lei. Credetemi, mi si stanno bagnando gli occhi anche mentre scrivo queste righe. Tutto ciò implica che lei non sia una protagonista overpowered. Sicuramente ha tantissime capacità che dipendono dall’educazione che ha ricevuto, ma questa consiste più che altro nell’aver trascorso la vita all’aria aperta a lavorare nei campi che nell’avere capacità specifiche tipiche dell’eroina young adult come il combattimento o poteri magici che la rendono la prescelta. Elodie è solo fortunata nella sua sfortuna perché ha una rete di sicurezza sociale abbastanza solida e troppe donne prima di lei sono morte per concederle di sopravvivere. I. Brividi. 

E poi c’è il drago. Il mostro. Insomma, io ormai quando leggo un libro penso “is this a critica al capitalismo?”  e me lo sono domandata anche in questo caso. Il drago, come Elodie, rappresenta tutte le cose che questo archetipo ha sempre rappresentato in letteratura e al tempo stesso nessuna di loro: rappresenta la cupidigia, ma quella altrui, non la propria. Rappresenta la fortuna e la protezione, ma non le proprie. La verità è che il drago non è il cattivo, il drago è soltanto il mezzo che i potenti usano per mantenere il loro privilegio basato sul sacrificio di sangue innocente. Il drago non è il vero cattivo della storia: è solo incompreso. Il drago è la rabbia di chi si vede strappare la propria terra, di chi viene ricacciato indietro dall’invasore e viene solo usato come un tramite per ottenere uno scopo. Il drago è la rabbia e la rabbia è un sentimento ingiustamente demonizzato: la rabbia va bene quando è correttamente indirizzata e non si può sovvertire uno status quo che opprime chi è debole senza - giustamente - arrabbiarsi. Elodie stessa deve imparare a tirare fuori e indirizzare questa emozione che per lei sarà di enorme crescita e fortemente funzionale per capire che spesso nella sua vita ha interpretato troppe cose in modo assolutistico senza coglierne le complessità.

Ho amato Damsel perché è un libro diverso. L’assenza di romance non ha tolto emotività: al contrario, ha aggiunto pathos e ha consentito di creare una storia davvero incentrata sul femminile, sulle sue sfumature e sul potere della vera sorellanza. La storia raccontata in Damsel punta a unire senza retorica o frasi fatte, senza porre due fazioni a scontrarsi quanto le persone coinvolte a venirsi in contro e comprendersi. È questo che mi aspetto dalla narrativa: voglio meno libri fatti con lo stampo e più storie intelligenti e innovative come quella raccontata in questo splendido romanzo che mi resterà nel cuore molto a lungo. 

Differenze tra libro e film

Qualche giorno dopo aver concluso di scrivere la prima bozza di questa recensione, ho deciso di guardare il film su Netflix. Ebbene, sto per dire una frase fatta: preferisco il libro. Lo so, lo so, lo si dice sempre, ma nonostante la trama sia grossomodo la stessa, il romanzo è ovviamente più approfondito su tantissime questioni perché ha più spazio. 

La prima differenza che mi è saltata all’occhio è il rapporto tra le donne della storia. Come ho detto nel corpo della recensione, questo non è un libro su una donna che si salva da sola, ma su tante donne che si salvano a vicenda ponendo le basi affinché le successive possano arrivare ancora più lontano. Tutto ciò, nel film è molto sullo sfondo e se non avessi letto prima il romanzo probabilmente non lo avrei capito. Infatti, il loro aiutarsi vicendevolmente nel film si limita a un disegno di una mappa, mentre nel libro è qualcosa di molto più ampio, internamente ed esternamente al labirinto. Evelyn Skye utilizza un espediente tramite il quale Elodie riesce a conoscere i ricordi di coloro che l’hanno preceduta, che consiste nel toccare il loro sangue e conoscere quello che è successo nelle loro vite, i loro flussi di coscienza e spesso il modo in cui sono morte, esattamente tutto ciò che le è utile per sopravvivere. Questo su Netflix va completamente perso, si limita a qualche sogno premonitore che potrebbe tranquillamente essere un’allucinazione da fame, sete o mancanza di sonno, più che un reale espediente integrato in un sistema magico organico. 

La solidarietà femminile nel libro è mostrata in tantissimi alti modi, anche nel cambio di punti di vista che ho messo in apertura di recensione come difetto, ma oggettivamente parlando è ottimo come espediente per mostrare che anche le altre donne presenti abbiano dilemmi interiori e si sforzino per aiutare Elodie, per quanto poi il grosso dell’azione si concentri all’interno del labirinto. I vari pov sono quelli delle altre principesse sacrificate, della sorella di Elodie, della sua matrigna e anche della regina, e tutti loro sono funzionali a comprendere meglio le psicologie di tutte le personagge presenti, le loro motivazioni e a non metterle semplicemente sullo sfondo rispetto alla protagonista, come invece accade nel film.

La seconda grande differenza sono gli uomini della storia. L’unico che resta invariato è il padre, mentre gli altri sono molto diversi. Il principe, ad esempio, è molto diverso non tanto nei due incipit, quanto nei due finali, perché ha reazioni completamente diverse e rappresenta modelli maschili quasi agli antipodi. Non posso dirvi di più per non farvi spoiler, prendetela così e se volete ne parliamo in privato su Instagram. Il re, invece, nel film è stato completamente eliminato, è la regina a tendere tutte le fila, anche se nel libro le cose sono molto più complesse e intrecciate di così. I nobili rappresentano la parte privilegiata della società che è disposta a sacrificare innocenti per mantenere lo status quo, questo resta uguale nel libro e nel film, cambiano proprio le motivazioni e le psicologie dei personaggi e per quanto questo possa sembrare marginale, in realtà nella cifra totale fa una grande differenza, perché c’è divario tra chi commette azioni malvagie e chi invece potendole impedire non lo fa.

Ultima importante diversità è proprio il drago e in come viene gestito. Evelyn Skye deve avere avuto molta libertà artistica nella costruzione del romanzo, perché nonostante questo parta dalla sceneggiatura del film, lei gestisce delle cose in modo molto diverso e più efficacemente. Il drago, che nel film viene un po’ buttato in caciara, qui parla proprio un’altra lingua che Elodie deve studiare e decostruire per poterla comprendere e così facendo entra in empatia con la creatura in modo graduale e credibile, mentre tutto ciò nel film, per legittime questioni di tempo, avviene in modo molto più repentino e frettoloso in chiusura.

Come ho già detto, io ho preferito il libro, ma nonostante questo e la differenza nel significato finale che ho percepito, il film non è brutto e si guarda volentieri.

Damsel è quello che mi aspetto dalla narrativa fantastica, non trame trite e ritrite, ma messaggi forti senza retorica ed emotivamente toccanti. 

mercoledì 21 febbraio 2024

Streghe all’opera


  • Titolo: Streghe all’opera
  • Titolo originale: Maskerade
  • Autore: Terry Pratchett
  • Traduttrice: Valentina Daniele
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788831013895
  • Casa editrice: Salani
Trama

Chi pensa che le maschere siano solo per le feste di carnevale si sbaglia di grosso. C'è una magia tutta particolare nelle maschere. Nascondono un volto, ma ne rivelano un altro... quello che si vede solo al buio. La Casa dell'Opera di Ankh-Morpork è il posto giusto per godersi la musica, il teatro e un innocuo Fantasma mascherato che si aggira dietro le quinte. La giovane Agnes Nitt di Lancre, la cui voce è straordinaria quanto la sua stazza, vi si è recata per tentare la carriera di cantante lirica. Peccato che non sia proprio il tipo perfetto per calcare la ribalta… E poi ci sono due streghe che non vedono l'ora di ricondurla alla ragione e farla diventare una loro apprendista: Nonna Weatherwax e Tata Ogg, che si sono recate ad Ankh-Morpork per convincere Agnes che la vita da strega è molto migliore di quella sul palcoscenico. Solo che ora sono tutte e tre coinvolte in un mistero a base di efferati omicidi che implica tizi mascherati e risate da maniaco. Ma, come dice il detto, lo spettacolo deve continuare, anche se c'è un po' di sangue che imbratta le quinte! Età di lettura: da 12 anni.

Recensione e commento

Allora, ve lo dico subito, così possiamo passare ad altro: il finale di questo libro mi ha delusa abbastanza. Non è in linea con il resto del libro e manca dell’autodeterminazione tipica di Pratchett. È una conclusione che si affloscia un po’ rispetto a un romanzo ritmato e pensato.

Detto ciò, tutto il resto mi è piaciuto da morire, perché Terry Pratchett si rivela di nuovo un conoscitore profondo dell’umanità, che critica con indulgenza e ironia. Streghe all’opera, portato in Italia da Salani nel 2023 (sempre sia lodata), è stato originariamente pubblicato nel 1995 ed è ancora attualissimo. Raccontandoli nel competitivo mondo dell’opera, Pratchett affronta tantissimi temi che negli anni Novanta non avevano nemmeno un nome, eppure esistevano e strisciavano sotto la pelle chi chi viveva quel periodo. Parla di pretty privilege e di fat shaming quando queste due cose ancora non si chiamavano così e lo fa attraverso il personaggio di Agnes, una ragazza di provincia che vuole diventare una cantante di successo e che ha tantissime capacità ma che è considerata troppo sovrappeso perché possa piacere al pubblico. I meriti del suo duro lavoro e del suo talento vengono attribuiti a Christine, una ragazza che risponde meglio ai canoni di bellezza di quel periodo (ricordiamoci che erano gli anni di gloria di Britney Spears e della considerata grassa Bridget Johnes). Con ironia e umorismo, l’autore racconta tutta l’ipocrisia del mondo dell’arte, pieno di paradossi che vengono perdonati in nome della poesia, ma che è in fin dei conti spietato, perché “lo spettacolo deve continuare” anche quando qualcuno muore e questo è uno dei motivi per cui non ho amato il finale: senza entrare nello specifico, questo sistema non viene sovvertito né viene fatto intuire che possa esserci speranza affinché ciò possa accadere in futuro.    

Nel portare alla luce le idiosincrasie del mondo dell’arte in generale, perché Streghe all’opera racconta anche dei problemi affrontati da chi pubblica un libro e deve inseguire l’editore per farsi pagare, Pratchett mostra, però, di conoscerlo molto bene. Solo qualcuno che ha visto e rivisto il musical del Fantasma dell’opera e letto e riletto l’opera di Gaston Leroux con una matita rossa in mano per correggere cosa non tornava avrebbe potuto scrivere un libro divertente che è anche una chicca per noi appassionate. 

Nota di merito per le protagoniste: due sono Nonna Weatherwax e Tata Ogg, già conosciute nei libri precedenti del ciclo delle Streghe, l’altra e la già citata Agnes. Le prime sono due donne attempate, al punto che la buona Tata ha addirittura quindici figli e nonostante ciò vanno all’avventura, cosa che vediamo di rado, dato che le madri nei fantasy servono tendenzialmente solo a portare al mondo il prescelto e morire. Agnes, invece, è una giovane che cerca la sua strada nella grande città dopo aver abbandonato il suo paesello ed è tutt’oggi una protagonista atipica. Quante ragazze adolescenti sovrappeso avete mai incontrato nelle vostre letture che non fossero la spalla comica di qualcuno? Agnes è un personaggio tragico, in un contesto tanto comico, perché non riesce a realizzarsi professionalmente a causa del suo aspetto, vedendosi attribuire tutte le qualità che le persone elencano quando vogliono evitare di dire a una ragazza che è brutta (tipo “ha bei capelli e almeno ha un buon carattere”). Tutto ciò che le capita ci fa entrare in empatia con lei e provare un forte senso di ingiustizia, senza che mai si abbia la tentazione di ridere di una ragazza tanto razionale e talentuosa in un ambiente fatto di squali. Penso che lei avrebbe meritato un finale più giusto, ma spero che nei prossimi libri possa avere la sua rivincita.

In conclusione, se non avete mai letto nulla di Pratchett, dovete assolutamente cominciare, perché in un mondo tanto distruttivo riesce a essere intelligente e mostrare i punti deboli della nostra società senza sfociare nel pessimismo e strappando sempre una risata. In più, se amate l’opera e il musical, Streghe all’opera per voi avrà sicuramente una marcia in più.


mercoledì 31 gennaio 2024

Il Re delle Volpi

  • Titolo: Il Re delle Volpi
  • Autrice: Fiore Manni
  • Lingua originale: italiano
  • Codice ISBN:
  • Casa editrice: Rizzoli

Trama

Il giorno del suo diciottesimo compleanno, Marian ha ben poco da festeggiare: la madre l'ha promessa in sposa al detestabile Carl Lawrence, e a lei non resta che ubbidire. È proprio nella residenza di campagna del futuro marito che la ragazza incontra una volpe nascosta in un cespuglio. Incredibile ma vero, la volpe le parla. Si chiama Macbeth, e la fa una promessa: se Marian lo aiuterà a tornare a Faerie, il Re delle Volpi in cambio esaudirà qualsiasi suo desiderio. Marian, che per tutta la vita non ha fatto altro che subire le decisioni altrui, non ha dubbi. Questa è l'occasione che ha sempre sognato per rivendicare la sua libertà! Appena varcato il passaggio tra l'Altrove e il mondo di Faerie, però, scopre di essersi cacciata in un mare di guai e che Aleister, il Re delle Volpi, non è esattamente come se lo era immaginato. In compagnia del viziatissimo (ma affascinante) re, Marian dovrà sfuggire a fate vendicative, introdursi nel labirinto sotterraneo dei nani, difendersi da frotte di goblin e da mostri feroci. Ma soprattutto, per la prima volta, dovrà imparare a far sentire la propria voce. Una storia di magia, amore e crescita personale, che ci riporta alle atmosfere dei romanzi di Jane Austen e di Diana Wynne Jones.


Recensione e commento

I libri che parlano di volpi sono un punto fermo della mia vita. Ne ho letti tantissimi e sono altrettanti quelli che contengono la volpe anche soltanto a livello simbolico, per cui capirete bene che non potevo esimermi dal leggere Il Re delle Volpi, che Rizzoli mi ha gentilmente inviato in omaggio e che ringrazio. 

Cominciando dai punti forti del romanzo, fra questi si annovera sicuramente l’ambientazione, infatti se amate l’autunno, i colori caldi e le ambientazioni tipiche del folklore inglese e di alcune delle opere di Shakespeare, questo libro sicuramente saprà accontentarvi. La magia è in ogni cosa e anche nel più piccolo oggetto, che può nascondere poteri miracolosi. Anche lo stile dell’autrice è ottimo, la sua prosa è fluida e matura, misurata e si adatta molto bene alla storia che racconta, senza mai esagerare, non crea situazioni imbarazzanti e risulta credibile anche nella costruzione dei dialoghi, che sono spesso la parte più difficile.

L’autrice Fiore Manni

Esiste anche qualche punto che non mi ha convinta al cento percento, per esempio il fatto che alla protagonista riesca sempre tutto al primo colpo, anche ciò che ad altri personaggi risulta impossibile o irrealizzabile anche dopo mesi di ricerche, fino all’incontro con lei che invece può tutto. E anzi, devo dire che è proprio lei a risultarmi la cosa più difficile da digerire dell’intero libro: ci viene descritta a più riprese come una ragazza insignificante per quanto riguarda il suo aspetto fisico, ma non sono rimasta convinta nemmeno dalla sua interiorità, perché è una protagonista un po’ passiva che fa conto solamente sulle iniziative altrui per tirarla fuori dai guai. La voce narrante cerca di renderla un personaggio empatizzabile per chi legge raccontandoci che è un’accanita lettrice e che porta un libro sempre con sé, ma questa è fondamentalmente la sola caratteristica che ha, perché altrimenti resta un personaggio abbastanza macchiettistico con il quale non riesco a entrare in sintonia proprio perché cercare di rendermela simpatica solo perché ama leggere mi risulta una forzatura, come se in qualche modo si volesse vincere con troppa facilità dicendomi “guarda, legge quindi ti somiglia”, senza contare che ho percepito come anacronistico il suo complesso da “io non sono come le altre ragazze”: quei tempi sono finiti, ora c’è più bisogno di sorellanza e meno di esaltare una protagonista svilendo le altre donne nella storia. La trama e l’atmosfera generale di Il Re delle Volpi ricorda per molti versi quella di Il Castello errante di Howl, con il quale condivide anche la caratterizzazione di Aleister, uno dei protagonisti e anche molteplici risvolti di trama e di rappresentazione di altri personaggi (sta a voi decidere se questo sia motivo di irritazione o di entusiasmo per quello che vi riguarda, a mio avviso le similitudini sono eccessive).

Il Re delle Volpi è un romanzo perfetto per la stagione autunnale e abbastanza cozy, complessivamente piacevole, ma dal quale mi aspettavo qualcosina in più. Sicuramente leggerò altro di Fiore Manni, perché ho apprezzato la sua prosa elegante.

mercoledì 13 dicembre 2023

La Senzanima

  • Titolo: La Senzanima
  • Titolo originale: The Girl with no Soul
  • Autrice: Morgan Owen
  • Traduttrice: Adria Tissoni
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788811007227
  • Casa editrice: Garzanti
Trama


Il destino degli abitanti di Providence è legato al loro spirito, che decide il futuro di ciascuno. Ma c'è un'eccezione, una Senzanima. Ha lunghi capelli rossi, un mare di lentiggini e si chiama Iris: queste sono le sue uniche certezze. Non sa chi fosse prima di un anno fa e, per questo, è perfetta per rubare le memorie legate agli oggetti che tocca. Perché conoscere i segreti degli altri, a Providence, vuol dire avere potere. E Iris, che è una ladra di ricordi, non si fa scrupoli a venderli per sopravvivere. Fino al giorno in cui tocca un anello di rubini e, all'improvviso, sente il calore di un tizzone nel petto e vede davanti agli occhi un'immagine frammentata, come uno specchio, ma che, ne è sicura, è un ricordo. Un suo ricordo. Uno scorcio del passato di cui non ha memoria. Non solo, un frammento del suo spirito è tornato al suo posto: lo avverte perché, per la prima volta, è impaurita. Ma questo vuol dire che non è nata Senzanima e che è stata derubata. Ora, Iris ha tante domande, ma finalmente si sente viva ed è decisa a recuperare tutti i frammenti della propria anima per ricostruire la sua storia. Perché il nostro passato è ciò che ci definisce. E lei, dopo aver vissuto quello degli altri, vuole ritrovare il proprio, a costo di combattere contro tutti. Morgan Owen, con grande abilità, è riuscita a creare una dimensione immaginaria in cui il lettore si immerge a capofitto e una protagonista tenace e indimenticabile. Preparatevi a entrare nella città di Providence, dove i ricordi sono la moneta dei ricchi e l'anima l'unica bussola per orientarsi in un mondo senza scrupoli.

Recensione e commento

La Senzanima è il romanzo d’esordio di Morgan Owen, ex libraia che ora si dedica alla scrittura. Ho molto da dire su questo titolo, perché la mia opinione è complessa e si muove su diversi ambiti, quindi cominciamo subito.

Innanzitutto, l’idea di base del libro è davvero interessante e originale: immaginate il mondo dell’Attraversaspecchi, in cui però esiste uno stato di polizia, per cui la popolazione è tenuta costantemente sotto osservazione tramite delle lanterne a forma di occhio che ne sondano le anime per valutarne le proporzioni. Chi non ha un’anima che rientri all’interno dei parametri richiesti dal governo viene estromesso dalla società. Il contesto generale della storia, con queste premesse, si presta a numerose riflessioni e critiche sociali, anche riferite al passato e al presente, e vanno dal classismo sociale, all’eugenetica, al tentativo dei totalitarismi di uniformare il più possibile la popolazione e appiattire le differenze. 

Anche la trama in sé, per quanto non sia nulla di particolarmente innovativo, comunque riserva delle sorprese e risulta imprevedibile in molti punti, specialmente per quello che riguarda la risoluzione del mistero.

Eppure, non è tutto oro quello che luccica, perché queste ottime premesse e solide basi di partenza non sono state supportate da una buona scrittura. Leggendo La Senzanima, infatti, la sensazione generale è stata quella di trovarmi davanti a una bozza, una prima stesura tenuta per anni nell’hard disk del computer, nemmeno quella da mandare all’editore. È il tipo di prosa che mi aspetterei da un’autrice amatoriale su wattpad, con tutto il rispetto, più che da una professionista che ha sottoposto a correzione ed editing il suo testo. È come se mancassero due o tre giri di editing e questo si riflette sulla qualità totale del libro, perché inevitabilmente la scrittura diventa anticlimatica, dato che non riesce a creare suspense, e resta in superficie su tutto il resto: i personaggi restano invariabilmente macchiettistici e così il worldbuilding.

A questo proposito, l’ambientazione ha diversi problemi; come ho già detto, l’estetica è simile a quella dell’Attraversaspecchi, così come lo è il sistema magico, eppure, anche qui è tutto confuso: così come l’editing non ha aggiustato la qualità di scrittura, non ha nemmeno posto le domande giuste alle quali la scrittrice avrebbe dovuto rispondere per rendere credibile il testo e non tradire mai il patto di veridizione. All’inizio abbiamo un’estetica steampunk, quindi molto basata sulla tecnologia vittoriana, poco dopo, quando fa comodo, il mondo di La Senzanima è molto vicino a quello in cui viviamo noi, con tanto di furgoni neri dai vetri oscurati. Questa confusione si propaga anche per quanto riguarda l’idea stessa dell’ambientazione, non solo la sua estetica, perché in un mondo totalmente inventato abbiamo il latino (chiamato proprio “latino”, non "lingua morta antica generica"), il francese, l’est Europa, con tanto di accento e sintassi caratteristici, e persino una città uguale a Mosca, che però non possiamo chiamare Mosca, per cui chiameremo Moscovium. Tutto questo va a spezzare la sospensione dell’incredulità perché non si tratta di elementi di realtà adeguatamente rimaneggiati e inseriti in modo credibile in una storia fantastica, ma piuttosto di pezze che sono peggiori del buco che sono messe a coprire. 

In conclusione, è con rammarico che dico che La Senzanima poteva essere un’ astronave e invece è una carriola. Leggerò sicuramente qualsiasi altra cosa l’autrice pubblicherà in futuro, dato che le idee sono buone e con la pratica si può sempre migliorare.

lunedì 20 novembre 2023

La Lingua delle Spine

Ciao, bellezze, sono felicissima di ritrovarvi oggi sul blog per questa uscita attesissima. Per questo evento ringrazio la mia amica Franci e l’editore per averci dato la possibilità di leggere il libro in anteprima.

  • Titolo: La Lingua delle Spine
  • Titolo originale: The Language of Thornes
  • Autrice: Leigh Bardugo
  • Illustratrice: Sara Kipin
  • Traduttrice: Roberta Verde
  • Lingua originale: inglese
  • Codice ISBN: 9788804
  • Casa editrice: Mondadori
Trama


Un mondo di oscuri affari stipulati al chiaro di luna, città infestate da spiriti, foreste inquietanti e bestie parlanti. Qui la voce di una giovane sirena può evocare tempeste mortali e un fiume può eseguire gli ordini di un ragazzo innamorato, ma solo a un prezzo indicibile. Ispirandosi a miti, folklore e fiabe, Bardugo ha scritto una raccolta di racconti straordinariamente ricchi di atmosfera, pieni di tradimenti, vendette, sacrifici e amore. Perfetti sia che siate suoi nuovi lettori sia che siate fan accaniti, questi racconti vi trasporteranno in terre familiari e misteriose, in una realtà pericolosamente intessuta di magia che milioni di persone hanno conosciuto e amato attraverso i romanzi del GrishaVerse.

Recensione e commento


Per me Bardugo è per me croce e delizia, per lei ho scritto le recensioni più entusiastiche e quelle più cattive, quindi per me è sempre un piacere tornare nel Grishaverse, per quanto in punta di piedi e talvolta con timore. 

Mentre leggevo La Lingua delle Spine mi ritrovavo a pensare che questo fosse il modo giusto di tenere vivo il mondo secondario tanto amato una volta che le trame sono esaurite, prima ancora di vedere che Bardugo stessa, nella nota finale dice qualcosa del genere. Infatti, La Lingua delle Spine nasce prima di Le Vite dei Santi, ma si muove sullo stesso principio. Se Le Vite dei Santi è un’agiografia e quindi una racconta religiosa, La Lingua delle Spine è invece una raccolta di racconti popolari di tutti gli angoli del mondo creato dall’autrice. Gli stili dei racconti sono i più disparati e vanno dalla favola con animali parlanti, alla fiaba con popolane che cercano l’avventura, al retelling, al romanzo ottocentesco. Nonostante il ricalcare queste forme classiche, i racconti sono molto moderni nei contenuti, mi ha colpita molto specialmente l’indagine del femminile, sempre variegato, a volte vittima e a volte carnefice, ma mai banale o già visto. Molto forte è la componente della sorellanza, che spesso manca nella fiaba classica, dove la strega va annientata e la matrigna uccisa. Ciascun racconto racchiude un colpo di scena e un finale dolceamaro, inaspettato.

Le illustrazioni di Sara Kipin, poi, sono qualcosa di spettacolare, perché fungono letteralmente da cornice al testo, ma con esso progrediscono, perché iniziano in modo minimale per poi aggiungere via via dettagli man mano che la storia va avanti per sfociare in un bellissimo disegno su due pagine che mostra una scena saliente della storia appena letta.

La Lingua delle Spine è un libro perfetto per essere letto in questa stagione, a metà tra la spooky season e il periodo natalizio, perché le ambientazioni sono spesso invernali (c’è persino un racconto che ricalca la storia dello Schiaccianoci di Dumas), ma spesso con una componente disturbante o macabra.

Se volete tornare nel Grishaverse ma non volete buttarvi su libri dalla trama annacquata, La Lingua delle Spine è il libro che fa per voi.

Come leggere i libri di Leigh Bardugo per non avere spoiler:

  1. Tenebre e Ossa
  2. Assedio e Tempesta
  3. Rovina e Ascesa
  4. Sei di Corvi
  5. Il Regno Corrotto
  6. The Language of Thorns (inedito in Italia)
  7. Il Re delle Cicatrici
  8. Le Vite dei Santi
  9. La Legge dei Lupi

Altri (non Grishaverse)




Not Quite Dead Yet

Titolo: Not Quite Dead Yet Titolo originale: Not Quite Dead Yet Autrice: Holly Jackson Traduttore: Paolo Maria Bonora Lingua originale: ing...